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webinar 30 giugno 2020
approfondimento
Centro Studi Telefono Arcobaleno

Alienazione genitoriale nei conflitti familiari.


1. I FATTI.

Il 30 giugno 2020 si è svolto il nostro webinar sul tema delle cosiddette alienazioni genitoriali nei conflitti familiari. Che il tema fosse caldo lo sapevamo già, anche per via degli innumerevoli casi che transitano nei nostri Centri, tanto che al webinar abbiamo registrato ben 424 iscrizioni, in effetti un record su tutti gli altri eventi che abbiamo realizzato dal 1996 a oggi.
Stiamo valutando di pubblicare gli atti di questo webinar, cui ne seguiranno altri.
Ma intanto, facciamo il punto della situazione.

L'ordine dei lavori di questo breve approfondimento prevede dapprima l'esposizione di quelli che (per noi) sono fatti e poi, a seguire, prevede la descrizione di alcune brevi considerazioni e teorie che ne sono conseguite.

Il "fatto" è (primo fatto) che nella complessità delle dinamiche che si rinvengono nella disgregazione delle unioni di vita e familiari accade assai spesso che nell'ambito del conflitto, un genitore tenti più o meno consapevolmente e/o più o meno intensamente, di mettere in atto delle manovre di vario genere tese a neutralizzare l'altro genitore agli occhi dei figli.
Accade anche (secondo fatto), e non necessariamente in connessione con il primo fatto, che nella complessità delle dinamiche delle comunioni di vita, un figlio manifesti un rifiuto verso uno dei genitori.
Talvolta accade (terzo fatto), che in connessione con uno solo oppure con entrambi i primi due fatti, vi sia anche una denuncia di abuso, maltrattamento o trascuratezza, dei quali il figlio è descritto come vittima diretta, oppure indiretta per avervi assistito.

2. IL QUARTO FATTO.

V'è inoltre da aggiungere (quarto fatto) che la complessa tematica in questione ha dato vita ad approcci ideologici che nelle diverse comunità professionali e sociali, in misura assai maggiore rispetto ad altre questioni, hanno avvelenato il dibattito scientifico e culturale.

3. IL FATTO CONTINGENTE.

Nella primavera del 2020 l'umanità ha vissuto un lungo periodo di quarantena causato dalla comparsa di un virus denominato Covid-19.

Questo lockdown, inaspettato e improvviso, questo evento traumatico esterno ha avuto un impatto assai significativo sulle comunioni di vita e familiari, con ricadute di vario genere sulle complesse dinamiche che li connotano, fornendo agli osservatori - oltre a difficoltà oggettive di gestione dei conflitti - anche una formidabile prospettiva di analisi del rimescolamento dei fattori osservati.

Già in passato si era avuto il sospetto che dal verificarsi di fattori trumatici, imprevisti e improvvisi, si potessero trarre spunti di ricerca utili al percorso di studio delle dinamiche relazionali in conflitto nella famiglia.

Ciò è accaduto, per esempio, quando un bambino conteso si è improvvisamente ammalato, circostanza che in misura proporzionale alla gravità della malattia sopravvenuta al conflitto, ha determinato l'affievolirsi o persino la scomparsa del tentativo di un genitore di neutralizzare l'altro, o addirittura l'inversione della dinamica, fino al conseguimento di azioni di agevolazione dell'accesso al rapporto con l'altro genitore.

In questi casi, l'osservazione delle dinamiche genitoriali, ma soprattutto la reazione del bambino conteso, che smetteva immediatamente di rifiutare l'altro genitore, aveva offerto spunti di ricerca e di analisi. In taluni casi, era capitato di osservare queste trasformazioni anche in presenza di pregresse denunce di maltrattamenti sul bambino.

Il lockdown ha rappresentato un ulteriore momento di osservazione alternativa di certe dinamiche relazionali.

4. L'EVOLUZIONE.

Lo studio di queste dinamiche è in divenire, al punto che il 29 maggio 2020 il Governo italiano, con un atto ufficiale reso in Parlamento, ha esortato la comunità scientifica ad approfondirne ulteriormente i diversi aspetti.

Pur essendo ancora oggetto di studi, la tematica è già conosciuta dai professionisti che operano nei centri multispecialistici che affrontano le fasi critiche delle famiglie.

Per gli appassionati di manuali diagnostici, rammentiamo che nel ICD-11 la questione è inquadrata nel novero dei problemi relazionali, come problema associato alle interazioni interpersonali nell'infanzia e classificato con il codice "QE52.0" sotto l'etichetta di "Caregiver-child relationship problem".
Anche nel DSM V la questione è affrontata in termini di "problema relazionale" tra il genitore e il bambino (Z62.820) e, ancora, in termini di effetti negativi sul bambino del "disagio relazionale dei genitori" (Z62.898), ma anche in termini di "abuso psicologico infantile".

Per i meno appassionati di manuali diagnostici rammentiamo invece che l'uso del DSM V non è obbligatorio e rammentiamo inoltre che se una determinata questione non è inserita nel DSM non significa affatto che essa non faccia parte dell'universo della scienza, altrimenti dovremmo arrenderci all'idea che molti fenomeni, taluni dei quali anche gravissimi e purtroppo assai frequenti come il bullismo, il razzismo, il mobbing, lo stalking, i quali non figurano nel DSM V, ebbene, sol per questo, solo perché non fanno parte del DSM V dovremmo arrenderci all'idea che essi non esisterebbero, quando invece nel Manuale diagnostico esiste in realtà una moltitudine di disturbi riconducibili proprio a tali fenomeni.

Pur nell'ambito di un dibattito ancora acceso, sembra ormai pacifico che la questione attiene alla complessità relazionale delle comunioni di vita e familiari e inoltre è opinione diffusa che l'approccio più adeguato deve includere l'intero sistema osservato e non soltanto il bambino.

5. ETICHETTA DIAGNOSTICA.

Prima di approdare nel novero dei problemi relazionali la tematica fu oggetto di studio negli USA dove furono avanzate altre teorie, tra le quali vi sono la PAS, e le sue varianti derivate di AP e PAD.

Un medico americano di nome Richard Gardner fu particolarmente attivo nello studio delle dinamiche che attengono ai fatti in oggetto, fino a teorizzare il costrutto di una sindrome del bambino, che egli definì come "Parental Alienation Syndrome" o anche "PAS" (in italiano: sindrome da alienazione genitoriale), che risponderebbe a otto precisi criteri diagnostici, e che si manifesterebbe indistintamente sia nell'ambito delle separazioni conflittuali sia nei contesti in cui si paventano violenze intrafamiliari.

Sulla scorta di taluni dubbi esistenti attorno al costrutto della "sindrome", si eliminò la parola "sindrome" e per taluni la "Parental Alienation Syndrome" divenne la "Alienation Syndrome" e quindi la PAS si trasformò in AP, ma si trattò più di una variazione estetica che di sostanza perché il focus rimase solo sul bambino.

La povertà di studi in materia rese per un lungo periodo la teoria di Gardner pressoché l'unica esistente. Anche in Italia ne nacquero film con Giancarlo Giannini e colonne sonore ad hoc.

In senso speculare, nacquero gruppi militanti "contro" il costrutto di Gardner.

Le critiche mosse al costrutto della "sindrome" attengono al depotenziamento di fatto delle dichiarazioni del bambino, che si determinerebbe in considerazione del fatto che essendo egli "alienato" e quindi condizionato, avrebbe perso la sua piena attendibilità, con la conseguenza di fare venire meno un testimone fondamentale di abusi e maltrattamenti.

Tale ultima critica non convince, ma non convince nemmeno la "sindrome" di Gardner.

La critica non convince perché la capacità di rilevare l'abuso è una cosa diversa dall'eventuale diagnosi di altre "patologie" sul bambino che ne è vittima. Se il caso è affidato a una valida equipe, se c'è abuso questo sarà rilevato a prescindere dall'esistenza o meno nei manuali diagnostici di una presunta "sindrome" denominata PAS.

La "sindrome" non convince perché limita il campo di osservazione a una frammento della realtà e limita il focus dei soggetti da osservare al solo bambino.

In questo, sta anche la debolezza di molte CTU e più in generale di tutti quei tentativi di fotografare in modalità statica situazioni dinamiche. La questione è resa viepiù complessa tutte quelle volte in cui la valutazione del presente ha bisogno di essere posta in relazione al passato e alla prognosi futura, come per esempio dovrebbe essere quando si parla di quella cosa quasi impossibile che viene definita come la "valutazione delle competenze genitoriali".

6. L'ESIGENZA DI UN APPROCCIO INTERDISCIPLINARE.

Il dialogo interdisciplinare fra le diverse scienze è sempre fondamentale, ma quello che ormai lega la psicologia e il diritto è un rapporto talmente capillare e fitto che ormai la dimensione professionale dell'uno si realizza anche nel contesto dall'altro. In Italia, peraltro, più che in altri Paesi, poggia sul sistema giudiziario il peso dei conflitti familiari, ragion per cui l'interazione della Psicologo con il Giurista e l'Assistente Sociale è indispensabile.

D'altra parte, Giuristi, Psicologi e Assistenti Sociali, seppur con funzioni diverse, non interagiscono soltanto nei comuni compiti di tutelare la salute dei cittadini (art.32 Costituzione) ma essi condividono il medesimo obiettivo di agevolare il pieno sviluppo della persona umana e la piena realizzazione della sua personalità (art.3 Costituzione).

Nella diversità di funzioni e nel fitto dialogo interdisicplinare, spetta alla Psicologo il difficile ruolo di rendersi lettore e interprete delle complessità che si frappongono come ostacoli a quella piena realizzazione della personalità umana.

Questo concetto è stato espresso in maniera molto chiara nella premessa al convegno dell'Ordine degli Psicologi della Toscana dal titolo "Psicologia e Diritto": "L’azione professionale degli psicologi è sostenuta dalla semplice constatazione che senza il contributo della psicologia molte cose importanti riguardanti lo sviluppo e la salute delle persone sarebbero trascurate, e quindi sottratte alla possibilità della cura (nel senso più ampio del termine). Ogni riduzionismo biologico costituirebbe un grave impoverimento umano, oltre che una concreta minaccia al benessere delle persone. Prima ancora che nella tutela della salute, è nel diritto inalienabile a essere riconosciuti come persone uniche (dotate di identità biografica, e non solo biologica) che l’agire professionale degli psicologi trova il proprio fondamento".

Il conflitto familiare con figli minori è proprio uno di quei temi che impongono l'interazione fra l'area sociosanitaria e quella forense.

7. L'ESIGENZA DI DARSI CONTO DELLA STORIA.

La "famiglia" nella storia italiana ha vissuto una fortissima influenza religiosa e ha avuto un'evoluzione lentissima, scandita da tappe distanti alcuni secoli l'una dall'altra, mentre negli ultimi anni sta vivendo alcune profonde trasformazioni, evolvendo più rapidamente ed estendosi verso concetti più ampi di quello della famiglia di un tempo, verso il riconoscimento di molteplici categorie di "comunioni di vita". Si è trattato di un percorso lunghissimo, cominciato nell'Antica Roma e via via attraversato dal Concilio di Trento (1563), dall'Italia Preunitaria e poi l'Italia Unita (1861), fino alla riforma del Diritto di Famiglia del 1975 e l'introduzione del diritto alla “bigenitorialità” (2006).

Nell'Antica Roma il matrimonio si fondava sul "consensus" dei coniugi, ovvero sulla comunanza di vita materiale e spirituale (maritalis affectio) e il venir meno determinava lo scioglimento dell'unione (divortium). Con il diritto giustinianeo (intorno all'anno 500) inizia a farsi strada la concezione cristiana del matrimonio fino a quando, nel secolo X la materia divenne di esclusiva competenza della Chiesa e il matrimonio divenne indissolubile. Con la Rivoluzione francese si fece nuovamente strada la concezione laica del matrimonio (anno 1791) e fu nuovamente introdotto il divorzio, ma non in Italia, dove il matrimonio restò indissolubile per un altro secolo, pur ammettendo la separazione, e fu disciplinato dai diversi codici degli stati dell'Italia preunitaria.

Nel Regno Lombardo Veneto (codice civle del 1811), il marito era il capo della famiglia e la moglie era obbligata ad adempiere le disposizioni da lui date. In base all'art.102 poteva essere pronunciata dal tribunale la "separazione di letto e di mensa" ma non prima che il loro parroco avesse espletato tre tentativi di conciliazione. Se solo uno dei due coniugi voleva separarsi il tribunale attivava la mediazione del parroco e della sua "amichevole ammonizione" (art.107). In caso di separazione i figli fino a 4 anni e le figlie fino a 7 anni erano affidati alla madre. Il padre doveva mantenerli.
Nel Ducato di Parma Piacenza e Guastalla
, il codice civile del 1820 sanciva che la moglie era tenuta a obbedire al marito (art.51). La separazione della convivenza poteva essere dichiarata soltanto nei casi di adulterio o conduzione di "vita apertamente scostumata", delitti o sopravvenute "infermità che comportino contagio" (art.63). Era previsto un tentativo di conciliazione del tribunale e un periodo di riflessione di almeno otto giorni.
Il codice civile del Ducato di Modena e Reggio prevedeva per la donna l'obbligo di obbedire al marito. La separazione era soggetta all'approvazione del superiore ecclesiastico.
Il codice civile del Regno di Sardegna sancisce che la moglie ha il dovere di obbedire al marito (art.126) e che la separazione consensuale può avvenire soltanto se autorizzata dal giudice ecclesiastico. In caso di separazione la prole sotto i 4 anni è collocata presso la madre e le spese sono a carico del padre (art.142).
Il Codice per lo Regno delle Due Sicilie del 1836 prevedeva che a moglie adultera veniva ristretta in una casa di correzione per almeno tre mesi, se invece la separazione era per colpa del marito alla donna spettavano gli alimenti. I figli erano affidati al coniuge che aveva ottenuto la separazione..

La famiglia rimase per millenni incentrata sulla figura autoritaria del marito, sulla figura di una moglie obbediente e sottomessa, e i figli minori sottoposti a potestà, a mezzi di correzione, al castigo (e persino al diritto di arresto da parte del padre).

Solo recentissimamente, ovvero nel 1975 è iniziato (il cantiere è ancora aperto) il percorso di costruzione di una famiglia intesa come "società" fra pari, e ancora più di recente si è pervenuti al riconoscimento del diritto all'ascolto del minore.

Soltanto ripercorrendo, seppur in estrema sintesi, la lenta evoluzione dei rapporti familiari e soprattutto, soltanto prendendo atto di quanto sia recente in Italia il nuovo sistema dei legami e dei rapporti familiari, si possono comprendere le attuali discordanze sulla concreta applicazione di alcune recentissime conquiste di civiltà giuridica, prima fra tutte quella che vede il minore finalmente titolare di precisi diritti, compresa la bigenitorialità da parte di due genitori posti sullo stesso piano, e soprattutto soggetto che non è più "minor" senza voce e persona soggetta a "potestà", bensì è titolare di diritti soggettivi propri e di bisogni (nonché di sogni, aspirazioni, speranze, sensibilità) la cui violazione determina piena responsabilità per coloro che dovrebbero prendersene "cura".

8. L'ASCOLTO DEL MINORE.

Uno dei compiti che maggiormente impegnano e accomunano giuristi, psicologi e assistenti sociali è proprio l'ascolto del minore nelle separazioni conflittuali, laddove l'accento deve essere posto sulla scelta del termine, che non è audizione, intervista, esame, bensì "ascolto".

L'ascolto del minore è oggi previsto dall'art.315-bis, dall'art.336-bis e soprattutto dall'art.337-octies del codice civile ma ancor prima fu enunciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 30 gennaio 2002, n.1, in ragione dell'esistenza di un poderoso impianto normativo sovranazionale già posto a presidio di tale diritto. Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha inoltre approvato nel 2010 le Linee guida per una giustizia a misura di minore che ai punti 2, 9 e 57 forniscono indicazioni in materia di ascolto del minore.
Il suddetto impianto normativo deve essere letto in maniera coordinata con l'art.38-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile
, il quale recita: "Quando la salvaguardia del minore è assicurata con idonei mezzi tecnici, quali l'uso di un vetro specchio unitamente ad impianto citofonico, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero possono seguire l'ascolto del minore, in luogo diverso da quello in cui egli si trova, senza chiedere l'autorizzazione del giudice prevista dall'articolo 336-bis, secondo comma, del codice civile."

Da quando il minore viene "ascoltato" si sono posti all'esame dei giuristi e dei professionisti delle relazioni d'aiuto alcune tematiche che nel precedente impianto normativo non erano emerse in maniera preponderante.

Una di queste è proprio il rifiuto che il minore esprime nei confronti di uno dei genitori nel conflitto della separazione, tematica che quel medico americano di nome Richard Gardner sopra citato, aveva qualificato come "sindrome", definendola "sindrome da alienazione genitoriale", abbreviata nell'acronimo PAS.

L'ascolto del minore è una conquista recente del diritto e ha una funzione assai importante, che tuttavia ha diviso accademia e giurisprudenza sotto taluni aspetti, alcuni peraltro già superati.

Un punto controverso è quello della obbligatorietà dell'ascolto, rispetto alla quale si scontravano due teorie contrapposte. Il tema è bene illustrato dal BALLARANI, in un articolo dal titolo "il diritto del minore a non essere ascoltato". Sui più recenti e prevalenti orientamenti, si veda anche l'articolo del giudice Alessandro Di Tano sulla rivista ARS IURIS dal titolo: "Disgregazione dell’unione familiare e tutela dei figli minori", che espone come si stia affermando la tesi che vede l'audizione del minore nelle separazioni conflittuali come un atto non obbligatorio, e ancor più di recente come si stia affermando l'orientamento giurisprudenziale in base al quale al “diritto” del minore non corrisponde un vero e proprio obbligo per l’Autorità Giudiziaria di procedere all’ascolto, laddove l'audizione del minore è rimessa comunque al prudente apprezzamento del Giudice. Sempre secondo questo orientamento giurisprudenziale, l’assenza di motivazione nel provvedimento circa la mancata audizione del minore non rappresenterebbe un vizio dello stesso. In ogni caso Cass. civ. Sez. I Ord., 13/12/2018, n. 32309 ha ribadito che si debba procedere all'ascolto del minore "salvo che motivatamente non si ritenga l'ascolto superfluo o contrario all'interesse del minore" stesso.

In un primo momento, il contrasto riguardava l'obbligatorietà dell'ascolto, sostenuta da una parte della dottrina e della giurisprudenza. Oggi il contrasto si è ridotto all'onere di motivazione circa le ragioni che hanno suggerito al giudice di non procedere all'ascolto, ormai ritenuto non rigidamente obbligatorio da una vasta parte della dottrina.

Altro contrasto era sorto circa le modalità dell'ascolto, e la possibilità che tale adempimento fosse delegato dal giudice a terzi, questione che fu affrontata dalla Cassazione Sez. I Sent., 05/03/2014, n. 5097 che ha rammentato che l'ascolto si configura come "un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto e deve svolgersi in modo tale da garantire l'esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione, e quindi con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l'interlocuzione con i genitori e/o con i difensori, nonchè di sentire il minore da solo, o ancora quella di delegare l'audizione ad un organo più appropriato e professionalmente più attrezzato".

9. GARDNER E LA SINDROME DA ALIENAZIONE GENITORIALE.

Un'altra questione controversa è proprio legata alla "sindrome" di alienazione genitoriale ipotizzata da Gardner.

La conquista del diritto del minore a essere "ascoltato" sconta d'altra parte anche la debolezza del titolare stesso di tale diritto, ovvero il bambino, il quale peraltro nel conflitto genitoriale sempre più spesso rischia di rimanere sullo sfondo o addirittura di divenire oggetto di strumentalizzazioni da parte degli stessi genitori, talvolta mossi da moventi di spietate ritorsioni reciproche.

Già nel 2012 il ministero italiano della salute aveva chiarito che "i fenomeni di ritiro dell'affetto da parte del bambino nei confronti di uno dei genitori, emersi in alcuni casi di affidamenti a seguito di divorzio, possono essere gestiti dagli operatori legali e sanitari senza necessità di invocare una patologia mentale per spiegare i sentimenti negativi di un bambino verso un genitore. L'inutile e scientificamente non giustificato etichettamento come «caso psichiatrico» può rendere ancora più pesante la difficile situazione di un bambino conteso. Sebbene la PAS sia stata denominata arbitrariamente dai suoi proponenti con il termine «disturbo», in linea con la comunità scientifica internazionale, l'Istituto superiore di sanità non ritiene che tale costrutto abbia né sufficiente sostegno empirico da dati di ricerca, né rilevanza clinica tali da poter essere considerata una patologia e, dunque, essere inclusa tra i disturbi mentali nei manuali diagnostici." (Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n.706 di giovedì 18 ottobre 2012).

Al cospetto di tale tranciante affermazione del 2012 dell'Istituto superiore di Sanità, tale da escludere che si possa parlare di "sindrome", da più parti si è proceduto a eliminare la parola "sindrome" dalla precedente definizione, cosicché la PAS, da sindrome da alienazione parentale (o genitoriale) per alcuni divenne AP (senza "sindrome"), ma il costrutto, al di là del nomen, restò - come si è già accennato sopra - simile nella sostanza a quello ipotizzato da Gardner.

La PAS (o AP che dir si voglia), così come inquadrata da Gardner, non ha mai trovato unanime consenso presso la comunità scientifica, non soltanto per via della discutibilità del sistema dei famosi otto sintomi che avrebbero dovuto guidare il sanitario nella fase diagnostica della presunta "sindrome", ma in senso più ampio anche per altre due ragioni essenziali: in primo luogo perché liquidare un disagio espresso da un bambino con la motivazione che essendo egli "alienato" il suo disagio non andrebbe "ascoltato", corrisponde a neutralizzare alcune conquiste di civiltà giuridica di cui si è detto; e inoltre, perché dare accesso al costrutto della presunta "sindrome" del bambino si traduce in definitiva in un tentativo di semplificare la complessità relazionale della separazioni conflittuali che, oltre al bambino, investe anche il genitore presunto alienato, quello alienante, e spesso anche altri familiari.

Fra le molteplici critiche mosse dalla dottrina alla "sindrome" di Gardner ve ne sono alcune che pongono l'accento proprio sulla lesione della dignità del bambino, in quanto egli verrebbe così ridotto a persona non più pensante perché "alienata".

A distanza di otto anni dal precedente intervento del 2012, il 29 maggio 2020 il Ministro della Salute è intervenuto nuovamente in Parlamento (questa volta in Senato) per rispondere a una interrogazione parlamentare della senatrice avv. Valente (e altri) in tema di alienazione genitoriale.

In particolare, l'atto ispettivo parlamentare sull'operato del governo, dopo avere ricordato che già nel 2012 il ministero si era pronunciato, lamenta che "nonostante le pronunce a livello scientifico e giurisprudenziale, nei tribunali italiani continuano a verificarsi episodi nei quali PAS o alienazione parentale o genitoriale sono utilizzate per giustificare il rifiuto del bambino a frequentare un padre dopo la separazione, come se il comportamento in questione fosse un disturbo da curare o su cui intervenire con apposito trattamento sanitario". L'interrogante afferma che "questa diagnostica non può giustificare trattamenti sanitari, medici e/o psicologici che per altro devono far parte di una procedura sanitaria che, a partire dalla diagnosi appropriata di malattia, consiglia (e non impone) il trattamento più adeguato alla luce delle linee guida validate da organismi scientifici nazionali ed internazionali". La senatrice interrogante lamenta inoltre che "nella quasi maggioranza di questi casi, l'intervento proposto ed attuato dai tribunali è rappresentato da un trattamento sanitario imposto, forzoso, contro la volontà del minore, in presenza di un suo manifesto disagio, in assenza di altro valido consenso scritto, tale da farne un trattamento simil-volontario, ma soprattutto che si configura come un trattamento sanitario obbligatorio, non compreso nelle prerogative della magistratura ma disciplinato dagli articoli 33 e 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833".

La risposta del Ministro della Salute, dopo avere razionalizzato che la PAS sembrerebbe essere "meglio definita come un "Disturbo del comportamento relazionale", e non come una sindrome" (e inoltre dopo avere rammentato che l'alienazione genitoriale "compare nel "DSM 4" tra i problemi relazionali genitore-figlio, e nel DSM 5" all'interno dei problemi correlati all'allevamento dei figli") ha ribadito che "è opinione condivisa tra gli studiosi che sia utile la promozione di ulteriori studi sistematici e su larga scala dell'alienazione dei genitori, che tengano conto delle questioni discusse allo scopo di definire criteri diagnostici oggettivi adeguati per una diagnosi scrupolosa ed un trattamento valido".

La senatrice interrogante avv. Valente - che rammentiamo essere la Presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere - ha stimolato nuovamente il Governo italiano ad affrontare la dibattuta questione delle alienazioni genitoriali, provocando un nuovo intervento in Parlamento del Ministro della Salute, intervento che peraltro la stessa senatrice ha commentato con un comunicato stampa del 5 giugno 2020 nel quale si afferma testualmente: "Come sappiamo la Pas e’ ancora determinante in molti processi per separazione – prosegue Valente – utilizzata soprattutto contro le donne in caso di violenza. Ma non e’ una patologia, e quindi non puo’ essere usata. Per questo il ministero chiarisce che, qualora siano segnalate diagnosi di Pas da parte di medici o psicologi, informa i relativi Ordini professionali per gli accertamenti sulle violazioni delle norme deontologiche. E che ‘rientra nell’ambito delle competenze del ministero della Giustizia intraprendere le adeguate iniziative finalizzate a garantire che, nelle sedi processuali, non vengano riconosciute patologie prive delle necessarie evidenze scientifiche, tanto piu’ pericolose perche’ aventi ad oggetto decisioni in materia di minori’. Sara’ mia cura inviare questa risposta al ministero della Giustizia, chiedendo di predisporre gli strumenti necessari al rispetto di queste indicazioni".

Al di là delle fisiolgiche necessità di sintesi dei comunicati stampa, l'intervento del Ministro della Salute fissa quattro punti ben precisi qui di seguito riportati vigolettando le parole stesse del Governo italiano:

1) "Le varie critiche rivolte al concetto di PAS concordano nel considerare scientificamente infondato il riferimento a una "sindrome" come ad una costellazione di sintomi che caratterizzano il disagio di un bambino conteso durante una causa di affidamento"

2) "Gli studiosi che hanno approfondito tale tematica hanno introdotto correttivi e spunti di riflessione, anche critici, sia preoccupandosi di individuare i criteri per una diagnosi differenziale, sia inserendo tale problematica nel continuum di relazioni che si instaurano tra ciascun genitore e il figlio, prima durante e dopo la separazione, di cui l'alienazione può essere l'esito finale di processi relazionali sempre più negativi"

3) "La comunità scientifica sembrerebbe concorde nel ritenere che l'alienazione di un genitore non rappresenti, di per sé, un disturbo individuale a carico del figlio, ma un grave fattore di rischio evolutivo per lo sviluppo psicologico e affettivo del minore stesso."

4) "è opinione condivisa tra gli studiosi che sia utile la promozione di ulteriori studi sistematici e su larga scala dell'alienazione dei genitori, che tengano conto delle questioni discusse allo scopo di definire criteri diagnostici oggettivi adeguati per una diagnosi scrupolosa ed un trattamento valido".

Il Governo italiano evidenzia dunque come l'alienazione di un genitore non è né una "sindrome" né un disturbo individuale del bambino, bensì UN GRAVE FATTORE DI RISCHIO EVOLUTIVO PER IL SUO SVILUPPO PSICOLOGICO E AFFETTIVO ed è lo stesso Governo italiano a stimolare l'intera comunità scientifica a svolgere ulteriori attività di ricerca per svolgerne la DIAGNOSI e il TRATTAMENTO.

10. L'ASCOLTO DEL MINORE NEL PROCESSO CIVILE ITALIANO.

L'ascolto del minore nella cause di separazione è un unicum che non trova eguali nell'ordinamento italiano; non si tratta di sommarie informazioni, né di testimonianza, né di interrogatorio libero, bensì di un adempimento che richiede competenze che non appartengono al diritto, bensì alla scienza psicologica e sociale.

L'intero impianto processuale previsto in materia di affidamenti familiari è a sua volta particolarmente peculiare, presupponendo deroghe talmente importanti da avere indotto la più autorevole dottrina a parlare di TUTELA GIURISDIZIONALE DIFFERENZIATA. In particolare, il giudice in questi casi non è soggetto al vincolo della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, potendo egli assumere anche provvedimenti diversi se non addirittura contrari a quelli chiesti dalle parti.

La regola generale è quella di prevedere l'ascolto del minore come incombenza necessaria nel processo minorile in senso stretto, non rientrando fra questi anche quelli di natura economica.

Nell'ambito del processo minorile, può essere evitato l'ascolto del minore tutte quelle volte (da valutare caso per caso) in cui tale ascolto si ponga in contrasto con l'interesse stesso del minore, oppure quando appaia superfluo.

Quanto alle modalità di svolgimento dell'ascolto, la Cassazione ha chiarito che "deve essere condotto con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, cosicché il minore possa esprimere liberamente e compiutamente le sue opinioni ed esigenze; il giudice, discrezionalmente, può sentirlo da solo, vietare l'interlocuzione con i genitori e/o con i difensori o ancora disporre al riguardo una consulenza tecnica ovvero delegare l'audizione medesima ad un organo più appropriato professionalmente" (Cassazione civile Sezione I, 5 marzo 2014, n.5097)
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11. IL RUOLO DELL'AVVOCATO.

Il carattere peculiare del processo civile minorile si misura anche con il particolare ruolo che al suo interno assumono gli avvocati difensori delle parti.

La questione è stata illustrata così bene dal Tribunale di Milano, sezione IX, con l'ordinanza 23 marzo 2016 (estensore dott. Giuseppe Buffone) che non conosciamo modo migliore per esporla: "Alla luce di una interpretazione sistematica ed evolutiva dell’Ordinamento vigente, come risultante per effetto delle normative sopravvenute nel tempo, deve ritenersi che l’Avvocato del padre o della madre, nei procedimenti minorili, abbia comunque l’obbligo di assumere un comportamento "protettivo” dei minori coinvolti: non solo in virtù del contratto di patrocinio stipulato con il cliente (che ha “effetti protettivi” verso i fanciulli coinvolti) ma anche per la propria funzione da attribuire al difensore nelle cause familiari: nelle dinamiche avversariali (formate dalle posizioni attorea e di convenuto), i figli sono in posizione “neutrale” e gli Avvocati, assumendo la difesa dei loro genitori, si impegnano a proteggerli e ad operare anche nel loro interesse. Nel processo di famiglia, dunque, l’avvocato è difensore del padre o della madre; ma certamente è anche difensore del minore. Per l’effetto, nella doverosa assistenza del padre o della madre, l’Avvocato deve sempre anteporre l’interesse primario del minore e, in virtù di esso, arginare la micro-conflittualità genitoriale, scoraggiare litigi strumentali al mero scontro moglie-marito, proteggere il bambino dalle conseguenze dannose della lite. In particolare, assumendo una posizione “comune” a difesa del bambino e non assecondando diverbi fondati su situazioni prive di concreta rilevanza. "

Se quella appena descritta dal Tribunale di Milano è una realtà nota agli specialisti della materia, è un altro giudice del Tribunale di Catania, la dott.ssa Marisa Acagnino a sintetizzare l'esigenza di introdurre l'obbligo di specializzazione in materia di Famiglia, obbligo che dovrebbe valere per l'avvocato, il giudice, gli psicologi. Il giudice Acagnino distingue gli avvocati che "improvvisano" dagli "specialisti della materia", laddove chi improvvisa spesso "crea danni", che "a volta diventano irreparabili" e stigmatizza gli avvocati che talora sono "più accaniti e agguerriti dei propri clienti", i quali frapponendosi come ostacolo impediscono che si approdi a soluzioni concordate.

12. L'ALIENAZIONE GENITORIALE NELLA GIURISPRUDENZA ITALIANA DI MERITO E DI LEGITTIMITA'.

Nell'ordinamento italiano vige il meccanismo del doppio grado di giudizio, cui in materia minorile, divorzio, separazione, affidamento, etc, sovrintendono in primo grado il tribunale e in secondo grado la corte d'appello. Queste sono le cosiddette giurisdizioni di merito.

Il controllo di legalità invece è devoluto alla Corte di Cassazione, cosiddetto giudice di legittimità, le cui pronunce sono autorevoli ma non vincolanti per gli altri giudici. Ai sensi dell'art.65 del regio decreto n.12/1941 "La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale"; è questa la cosiddetta funzione nomofilattica della Cassazione.

Sul piano della giurisprudenza di legittimità, è ancora il Tribunale di Milano ad assumere una posizione netta, qualificando l'alienazione genitoriale non come "patologia" ma come fatto illecito. Più precisamente il Tribunale di Milano, sez. IX civile, con decreto 9 – 11 marzo 2017 (Pres. Amato, est. G. Buffone) afferma che il termine alienazione genitoriale – se non altro per la prevalente e più accreditata dottrina scientifica e per la migliore giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale; condotte che non abbisognano dell’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologica delle condotte medesime.

A conclusioni in parte differenti perviene il Tribunale di Castrovillari che con la sentenza 27 luglio 2018, a fronte della accertata alienazione genitoriale si esprime in termini di "incapacità genitoriale" di colei che se ne è resa autrice responsabile, ciò che a differenza di quanto accadde con la pronuncia dianzi citata del Tribunale di Milano, conduce all'allontanamento della minore dal genitore alienante.

A conclusioni ulteriormente differenti giunge il Tribunale di Cosenza Sezione II, che in presenza di un caso di "grave alienazione genitoriale", con sentenza 18 ottobre 2017 afferma che nonostante in astratto il rimedio da adottarsi in caso di alienazione parentale consista nell'immediato allontanamento del figlio dal genitore alienante, la giovanissima età del minore rende in concreto tale rimedio impercorribile.

Sul piano della legittimità sono tre gli arresti giurisprudenziali della Cassazione che devono essere segnalati, risalenti rispettivamente al 2013, 2016 e 2019.

Cass. civ. Sez. I Sent., 20/03/2013, n. 7041 si trovò a esaminare un ricorso che era affidato a un motivo specifico attinente alla PAS, laddove la parte ricorrente lamentava un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella mancata verifica dell'attendibilità scientifica della teoria posta alla base della diagnosi di "sindrome da alienazione parentale". In realtà la sentenza della corte d'appello, che in questo caso la Cassazione era chiamata a scrutinare, non citava mai espressamente la PAS, sicché la Suprema Corte aveva premesso quanto segue: "Deve preliminarmente constatarsi come nella motivazione della sentenza impugnata la Corte territoriale, che pure cita testualmente numerosi brani della consulenza tecnica d'ufficio, alla quale, a un certo punto, opera un richiamo nella sua integralità (pag. 4), eviti accuratamente ogni riferimento alla "sindrome da alienazione parentale" (d'ora in avanti, per brevità, PAS), che pure costituisce il sostrato teorico, utilizzato a fini diagnostici e terapeutici, dell'elaborato peritale. Che si tratti di un mero lapsus memoriae o di un espediente dialettico per eludere la questione della validità scientifica della PAS e le critiche alla consulenza tecnica d'ufficio, questa Corte non è in grado di stabilire: di certo, il tema della condizione patologica del minore, unicamente riferibile alla condotta della madre "alienante", rappresenta l'ubi consistam non solo del citato elaborato, ma dell'intero giudizio di secondo grado.". Il ricorso fu accolto perché la Cassazione considerò disatteso il principio secondo cui il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche ovvero avvalendosi di idonei esperti, verifichi il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale.

Cass. civ. Sez. I, 08/04/2016, n. 6919 si espresse invece da un'altra prospettiva, ovvero affermando che qualora il genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice del merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia.
Di contenuto analogo alla precedente (della quale è presente espresso richiamo) è Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 01-04-2019) 16-05-2019, n. 13274, che si riferisce a un giudizio che ebbe origine davanti al Tribunale di Treviso.

13. LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO.

Esauriti tutti i gradi di giudizio interni al Paese di residenza, i cittadini italiani, così come tutti gli altri europei, possono rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che ha più volte trattato e riconosciuto l'esistenza della PAS.

Con sentenza del 2 novembre 2010, nel ricorso n.36168/09 contro la Repubblica italiana, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato l'Italia per violazione dell'art.8 della Convenzione, a risarcire un padre cui era stato negato il diritto di visita nei confronti del figlio. La Corte aveva preso atto che "i tentativi della madre di aizzare il minore contro il padre potevano condurre, nel caso di specie, ad una sindrome di alienazione parentale".

Con sentenza del 5 dicembre 2019, nel ricorso n.48322/17 contro la Repubblica italiana, la Corte accoglie un ricorso volto a censurare le autorità italiane che non hanno messo in atto alcuna misura concreta volta a impedire una alienazione genitoriale. Nella sentenza di condanna inflitta alla Repubblica italiana il 5 dicembre 2019 viene espressamente citato anche il precedente della sentenza del 2 novembre 2010.

La condanna dalla Repubblica italiana è assai frequente in relazione alla violazione dell'art.8 della CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) ma ciò che balza all'occhio è il costante richiamo dei giudici all'adozione italiana di una serie di misure "automatiche e stereotipate", prive di effetti pratici sulla concreta realizzazione dei diritti agitati dalla parte ricorrente e riconosciuti come violati dall'autorità giudiziaria nazionale, con la conseguenza di avere lasciato che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie.
Ecco un tema che sembrerebbe essere cruciale, molto più della discussione sulla sindrome di Gardner (o presunta tale), ovvero la capacità del sistema italiano di osservare, qualificare e gestire la complessità dei conflitti familiari.

La PAS è assai presente nelle sentenze della Corte Europea dei diritti dell'Uomo, in particolare nell'ambito di ricorsi promossi contro la Germania, la Romania, la Bulgaria e altri.

14. RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO.

La bibliografia sul tema è imponente e internazionale.

Ma questa volta il riferimento viene attratto in maniera irresistibile non verso un libro ma verso la sua breve introduzione, la quale già da sola vale il libro intero, a sua volta di grande valore: si tratta della prefazione al volume “SEPARAZIONI CONFLITTUALI - Conflitto, demonizzazione e paradossi nella coppia in fase di separazione” (Edra), prefazione scritta da Mauro Mariotti, neuropsichiatra infantile e direttore ISCRA, Istituto di Psicoterapia Sistemica e Relazionale di Modena. L’autore di questa prefazione ci perdonerà lo stralcio di alcuni brani a scapito di altri:

PREFAZIONE
“Quello che ancora oggi accade nei servizi sociali, di psicologia, di neuropsichiatria infantile, negli studi degli avvocati e nelle aule di tribunale è ascoltare storie narrate da una parte e dall’altra, con persone che si schierano con una descrizione piuttosto che con l’altra, e che sono sostenute dalle proprie teorie di riferimento. Sono proprio le teorie i venti che spostano la piuma della verità in una direzione piuttosto che nell’altra. Così il bene del bambino sarà ora il collocamento in una comunità, ora il collocamento dal padre, ora dalla madre, ora l’affido ai servizi, ora un condiviso e così via”
Quando la verità cessa di essere una piuma, diventa una pietra al collo del sistema. In questa situazione sopravvive chi ha dalla sua l’assenza della pietra al collo. Ma il sistema annega. E chi sopravvive perde l’età dell’innocenza e, come ci ricorda l’equazione di Dirac, avendo partecipato al precedente sistema, ne sarà stato modificato in modo permanente e per il resto del tempo di vita anche del nuovo sistema. In quel sistema c’è il figlio: figlio della relazione duale, figlio della forza dell’individuo che comprende la necessità di superare l’individualità e che al termine della relazione che ha prodotto il figlio, torna a essere sé stesso portando con sé e solo con sé il prodotto del concepimento. Che strano destino quello dei figli contesi e dei genitori dei figli contesi: fanno parte della poetica della creazione, del passaggio dall’uno al due al tre, per poi tornare all’uno+uno pensando che uno+uno possa ancora fare due. No. È sempre tre. Tre nel ricordo della relazione coniugale fallita, tre nel ricordo della relazione vissuta con i propri genitori, tre negli occhi del figlio, tre nel ricordo e ancora tre nella ricerca della vita futura.
Possiamo dire che nel tema della conflittualità della coppia con figli in separazione c’è tutta la poetica della triade. La prima triade è quella del padre, della madre e del figlio. Con il figlio legato a un paradosso mortifero: quando dà ragione alla madre tradisce il padre; quando dà ragione al padre tradisce la madre. L’ho chiamata sindrome del traditore leale.
Una poetica, quella della triade, che si svolge in modo drammatico con chiaroscuri, dissonanze, silenzi cupi, fallimenti. Essere in grado di vedersi è opera difficile, ancora di più lo è vedere l’altro da sé, poesia infine è vedere sé, l’altro e il terzo connesso armonicamente. Chi lavora con la famiglia che si scompone deve avere una grande conoscenza della dialettica dei triangoli, una conoscenza che ci è stata fornita da Jay Haley e che permette al sistemico una marcia in più nel lavoro di aiuto alla coppia in separazione. Un triangolo disfunzionante inserito in una famiglia in cui, oltre a questo triangolo, ci sono tanti altri triangoli e triangoli di triangoli. Il triangolo dell’amante, della moglie e del figlio, il triangolo del nonno materno, della figlia e del nipote e così via. Il triangolo formato dal padre, dalla madre e dal loro figlio è solo uno dei tanti, e chi lavora con la coppia che si separa deve saperlo e saper lavorare con tutte queste interazioni. Che crescono al quadrato ogni volta che un nuovo personaggio entra in scena…
Quando la coppia litiga, i genitori della coppia litigano, gli amici litigano, i loro avvocati litigano, i servizi litigano e pure i giudici litigano fra di loro, fra tribunale dei minori, ordinario civile, penale e appello. Un mare che si increspa e diventa bufera.
Conoscere l’isomorfismo significa molto. Permette di non spaventarsi, di non vibrare assieme agli altri sistemi, di promuovere vibrazioni alternative che abbattono il rumore e piano piano possono permettere narrative più favorevoli.
Ma alla base di tutto c’è il concetto di verità. Tutti cercano la verità, ma questa, ahimè, è una verità contestuale, dipende dall’angolazione da cui si guarda il sistema. Certo una verità esiste ed è quella ontologica, fatta di carne, di elementi concreti. Verità è che la violenza va fermata a partire da quella psicologica. Ciò significa che i Servizi, i Giudici, i CTU non possono limitarsi alla teoria che assolve tutti ma non la triade genitori-figli: la teoria del conflitto. Anche Hitler e gli Ebrei erano in conflitto, ma a nessuno viene in mente di mettere entrambi in affidamento a terzi. Hitler va fermato. Punto. Prima che diventi Hitler possibilmente. Forse un esempio pesante, ma troppe volte nella mia carriera ho dovuto assistere a processi sommari di servizi o giudici che sancivano l’assegnazione del bambino spesso a terzi sulla base del conflitto tra i due coniugi quando invece un’analisi più approfondita e sistemica avrebbe mostrato elementi così patologici nella “verità” di uno dei due da rendere necessaria una soluzione a favore della narrativa soccombente e non una posizione Ponzio Pilatesca.
Mi riferisco in modo particolare alla dimensione trigenerazionale e al fatto che molte volte l’analisi effettuata solo sul piano della generazione padre-madre non permette di comprendere il ruolo dei nonni nella vicenda della coppia che scoppia. Accade spesso che uno dei due genitori non sia per nulla un genitore ma lavori per procura. Spesso sono i padri a pretendere per sé figli, la gestione dei quali, in realtà, poi, delegano ai propri genitori continuando per sé una vita da scapoli. Spesso sono le madri che pretendono per sé i figli negandoli ai padri perché hanno necessità di rimanere al tranquillo tepore della propria famiglia di origine e della propria madre che non ha mai avuto un vero marito a cui fare riferimento.
Questo libro permette la comprensione dei fenomeni trigenerazionali assieme alla comprensione della complessità dei servizi che si occupano della coppia e dei loro contesti. È un libro vero, che è sintesi di conoscenza ed esperienza, di profonda analisi sistemica, che trova il suo apice nella rilettura del fenomeno denominato “alienazione parentale”. Famoso e famigerato e internazionalmente denominato PAS (parental alienation syndrome), la sindrome che non esiste, per la quale vengono segnalati all’Albo gli psicologi australiani che ancora usano tale definizione.
Anche i giudici italiani hanno imparato a dubitarne fino a modificare il fenomeno e parlare non più di PAS ma di genitore ostacolante. Potere della narrativa! Gli Autori ridefiniscono la sindrome, rifiutano la linearità connessa alla descrizione “genitore che aliena” e “genitore alienato” per riconoscerne la circolarità e dare di nuovo dignità al figlio, non più vittima alienata da un alienatore, ma autore del proprio destino all’interno della disfunzione triadica. Un figlio che sceglie la propria narrazione, la propria verità che gli rende necessario rimanere fedele a un solo genitore e che da questa verità può uscire solo con l’aiuto di un sistema esterno adulto che riesce a vedere l’innocenza dei due genitori, qualunque siano i loro comportamenti. Così come può riuscire a vedere contemporaneamente la colpevolezza di entrambi i genitori nel momento in cui entrambi pensano l’uno di essere alienato e l’altro di essere accusato da un pazzo che pensa ciò in malafede per ottenere il figlio per sé. Ma ancora di più è necessario vedere la responsabilità dei terapeuti, degli avvocati, dei consulenti tecnici o degli operatori dei servizi che, sposando la teoria PAS versus la teoria della paranoia, sostengono i genitori sull’idea che uno dei due ha ragione e l’altro torto in modo lineare. Solo quando il fenomeno viene compreso nella sua complessità l’alleanza che si crea fra terapeuti, avvocati, giudici e servizi può permettere ai genitori di essere coinvolti nell’impresa colossale di portare narrazioni diverse al figlio che ha scelto di far parte del teorema dell’alienazione, affinché lo stesso possa scegliere di ripristinare un minimo dialogo triadico.
Evviva. Finalmente una teoria che può permettere alla piuma della verità di prendere venti favorevoli che permettano forme di comunicazione evolute e positive!
“Un libro che propone, oltre alle analisi sistemiche di contesto, di diade, di triade e di meta contesto, anche una metodologia di intervento che analizza tempi e modi, che fa risaltare l’importanza della creazione di un contesto chiarificato. Il contesto nel quale la piuma della verità galleggia tranquilla senza assumere forme diversificate e può, nella condivisione narrativa, trovare la sua espressione semantica migliore. Un modello di intervento che, a mio modo di vedere, potrebbe ulteriormente essere approfondito anche superando la tradizionale dicotomia fra interventi terapeutici, interventi mediatori, interventi giudiziari. Oggi è pratica comune sostenere che, quando c’è una consulenza tecnica di ufficio ordinata dal giudice per porre chiarezza nel rispondere al quesito (che ci auguriamo diventi sempre di più un quesito relazionale), debbano cessare gli interventi dei servizi, in specie le psicoterapie, per evitare confusioni e sovrapposizioni. Non lo credo. Ritengo che ciò che accade porta sempre informazione e che la logica del sistema è che, quando inizia la sincronizzazione narrativa fra alcune significative parti del sistema, essa non si arresta più. Se il processo di sincronizzazione delle narrative è avviato verso la ricomposizione e verso la comprensione del significato della triade nella famiglia, se i genitori e chi lavora per e con loro stanno comprendendo i messaggi dei figli e i figli vengono riconosciuti nelle loro responsabilità oltre che nei loro diritti, allora, qualunque sia la formula, nulla fermerà la sete epistemologica che permette a ognuno di noi di gioire allorquando si riconosce la bellezza e la meraviglia di saper stare nella narrativa triadica, quella in cui l’uno riconosce l’altro oltre a sé stesso e in cui il terzo è parte integrante della narrativa diadica"
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A cura del Centro Studi di Telefono Arcobaleno.
5 luglio 2020.